Un viaggio tra identità e ruolo, tra maschere e verità
“Faccio l’attore”.
“Studio recitazione”.
“Sono un attore”.
Queste frasi, che all’apparenza sembrano semplici, sono in realtà piccoli terremoti interiori. Dire sono un attore non è come dire faccio l’avvocato, o sono uno studente di biologia. Perché nel mestiere dell’attore non esiste una separazione netta tra chi sei e cosa fai. Recitare significa usare se stessi per essere qualcun altro. E per riuscirci, bisogna avere il coraggio – e la curiosità – di guardarsi dentro, mettersi in discussione, cambiare forma. A volte anche senza sapere bene dove finisce il personaggio… e dove inizi tu.
L’attore è uno dei pochi mestieri che si dichiara con il verbo essere, non con fare. Non diciamo “faccio l’attore”, almeno non dopo un po’. Diciamo: sono un attore. E questo cambia tutto. Perché l’attore lavora con se stesso come strumento. La voce, il corpo, le emozioni, i ricordi, la fragilità, l’immaginazione. Non c’è un filtro esterno: non c’è un pennello, non c’è uno strumento musicale, non c’è una tastiera. L’attore è il mezzo e il messaggio. È attraverso di sé che racconta, che interpreta, che crea. E allora la domanda torna: chi sei davvero, quando ti metti in gioco sul set? Perché l’attore non deve solo “saper fare”. Deve anche saper attraversare. Saper distinguere, riconoscere, esplorare i limiti e le potenzialità della propria identità.
L’attore è sempre in bilico: dentro e fuori dal personaggio
C’è una fase molto interessante nel lavoro dell’attore in formazione. Succede spesso nel primo anno. Dopo le prime lezioni, dopo le prime scene, capita che qualcuno dica:
“Mi sono sentito strano. Non capivo se stavo recitando o se ero davvero io.”
Ecco. Quella sensazione è preziosa. È il momento in cui capisci che la recitazione è esplorazione. Quando lavori su un personaggio, non stai “facendo finta”. Stai scoprendo parti di te che non conoscevi. E le stai mettendo al servizio di una storia. Durante i corsi FMA, soprattutto nei moduli pratici con la videocamera, questo tipo di lavoro viene approfondito attraverso: esercizi di immaginazione guidata, pratiche di memoria emotiva, tecniche di respirazione e centratura, confronto continuo con acting coach e registi. Ogni personaggio, se lavorato bene, ti restituisce qualcosa di tuo. Anche se ti allontana da chi pensavi di essere.
Recitare davanti alla macchina da presa è un esercizio di verità. Non puoi barare. Ogni cosa che non credi… si vede. Ogni emozione finta… suona falsa. Per questo la recitazione cinematografica richiede una consapevolezza diversa rispetto a quella teatrale. Più intima. Più sottile.
A Focus Movie Academy, fin dal primo anno, gli studenti lavorano in contesti reali di set, con strumentazioni professionali, in studio o in esterni, accompagnati da filmmaker in formazione. Questa collaborazione continua – tra attori e registi – permette di sviluppare una sensibilità specifica per il mezzo audiovisivo: dove guardare, come dosare l’intensità, come lasciar trasparire l’emozione senza forzarla…
Ed è qui che la domanda “chi sei quando reciti?” diventa centrale. Perché davanti alla camera, non puoi costruire maschere. Puoi solo abitare verità. E più conosci te stesso, più sei libero di essere qualcun altro.
Anche fuori scena: essere attore nella vita quotidiana
Un altro aspetto interessante è che chi studia recitazione, cambia anche nel modo di stare al mondo. Diventa più attento ai dettagli. Più sensibile all’ascolto. Più aperto all’altro, è parte del percorso. Per questo nei corsi di recitazione cinematografica FMA, si lavora anche su aspetti spesso considerati “marginali”, ma in realtà determinanti:
- Dizione: per essere chiari, non solo in scena, ma anche nella vita
- Tecniche vocali e respirazione: per reggere l’esposizione, i provini, i colloqui
- Public Speaking e presenza scenica: per affrontare anche contesti non strettamente artistici con consapevolezza
- Self-tape e gestione dell’immagine: per presentarsi nel modo giusto anche quando non si è in scena.
Essere attore significa portare consapevolezza nei propri gesti, nella propria voce, nel proprio sguardo. E questo, una volta imparato, non si disimpara più.
In conclusione: la domanda resta, ma cambia forma
“Chi sei quando dici: sono un attore?” Forse non esiste una risposta fissa. Ma esistono delle traiettorie. Ogni personaggio affrontato, ogni scena provata, ogni provino sbagliato, ogni progetto concluso… aggiunge un pezzo a quel “chi sei”. Ed è proprio questo che rende l’essere attore un mestiere vivo, instabile, creativo. Non sei mai “completo”. Sei in costruzione continua.
Essere attore non è un’identità fissa. È un viaggio che fai ogni volta che entri in scena. E ogni volta, torni cambiato.






