La divisione in tre atti ha alcuni passaggi fondamentali obbligati, quasi come se il setup dovesse capitare dopo un tot di minutaggio e che tra un’ atto e l’altro vi sia un turning-point, passaggi che aiutano lo spettatore e la drammaturgia a rilanciarsi verso il passaggio successivo. Un’atto molto grande e complesso, come il secondo, come farlo funzionare?
Anche lì al centro del secondo atto, c’è un appuntamento che gli sceneggiatori devono conoscere molto bene, perchè cambia le coordinate psicologiche dei personaggi e cambia anche l’assetto della drammaturgia.
Andando avanti si arriva alla fine del secondo atto e anche lì abbiamo un turning-point… perché non vi sto raccontando esattamente cosa c’è in questi passaggi?
Per due motivi: Innanzitutto perché questi passaggi hanno bisogno di contestualizzarsi, sono una struttura e questo dovete tenerlo presente.
È come un tavolo, un tavolo ha una struttura, deve avere un piano di appoggio e delle gambe che non fanno cadere a terra ciò che poggiamo sopra. Questo è il senso di strutturare la sceneggiatura, in modo che posa resistere e permettere alla storia di stare in piedi.
Questa storia in tre atti è semplificabile con inizio, centro e fine.
Le trame, che si costruiscono in tre atti si trovano ovunque, invece le storie sono fatte di uomini, dei loro sogni e dei loro desideri.